Il ministero del coro liturgico: quando il canto diventa “servizio”

Il canto è un’interazione tra testo e musica ed è compito di chi canta far vivere le parole dentro e fuori di sé, per donare a chi ascolta il loro contenuto profondo; è come se il canto prestasse le ali alle parole perché possano esprimere quello che da sole non riuscirebbero a dire. La Chiesa ha avuto da sempre una particolare predilezione verso il canto, avendone intuito l’inestimabile valore, che lo ha elevato a linguaggio privilegiato per meglio celebrare l’incontro tra Dio e il suo popolo .  Per la Chiesa « il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne »1. Il canto non è un accessorio o un abbellimento esteriore della liturgia, ma è esso stesso liturgia. Infatti, « la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica, sia dando alla preghiera un’espressione più soave e favorendo l’unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri »2. Non basta quindi cantare nella liturgia, ma inserirsi in essa rispettandone la natura e le leggi. Un coro che voglia essere liturgico, dovrà conoscere queste condizioni e attuarle nel suo servizio. L’azione di un coro non è semplicemente quella di cantare nella liturgia, ma soprattutto cantare a servizio della liturgia e dell’assemblea liturgica.
In virtù del suo compito ministeriale, che è quello di « eseguire a dovere le parti che le sono proprie, secondo i vari generi di canto, e promuovere la partecipazione attiva dei fedeli nel canto»3, il coro ha un ruolo fondamentale nella liturgia in quanto elemento di mediazione tra il mistero celebrato e l’assemblea. Ha il ruolo di innalzare l’assemblea verso il mistero celebrato e di tradurre questo mistero per l’assemblea liturgica. Il suo canto non deve mai isolare il popolo di Dio riducendolo soltanto a mero ascoltatore passivo, ma deve coinvolgerlo il più possibile non solo direttamente, prevedendo interventi propri dell’assemblea, ma anche indirettamente, eseguendo brani di autentica religiosità e di profonda spiritualità. « Una schola (cantorum) non è una parte a sé stante o tantomeno in contrapposizione con l’assemblea, ma è parte di questa ed esercita tra i fedeli un proprio ufficio liturgico: quanto più preparata ed educata al canto è un’assemblea, tanto più la schola, formata dai suoi componenti più dotati, si esprime con autentico senso artistico e spirituale. Quanto più una schola è educata al vero servizio liturgico, tanto più essa si fa maestra dei fedeli, li sostiene, dialoga con essi, li eleva, tutte le volte che nelle parti proprie più impegnative e nei momenti più opportuni favorisce una partecipazione autentica dell’ascolto e della meditazione di testi sacri proposti con la suggestione dell’arte musicale »4. Il compito del coro liturgico, quindi, non si esaurisce nel sostegno del canto dell’assemblea, ma si attua anche in altri interventi che può eseguire da solo, secondo le norme liturgiche, valorizzando le proprie capacità esecutive per un repertorio musicalmente più impegnativo che altrimenti sarebbe accantonato. Ciò che è importante è la finalità di questi canti del coro, come precisa il documento succitato, che non è la soddisfazione del desiderio di esibirsi, ma consentire all’assemblea dei fedeli di partecipare attivamente anche con l’ascolto e l’interiorizzazione di pagine dell’arte musicale liturgica, perché anche l’ascolto consapevole è partecipazione attiva!
Questa lunga introduzione intende sottolineare che il primo atto per la costituzione di un coro liturgico con è ancora un “fare”, ma anzitutto “avere una consapevolezza”. Si tratta quindi di comprendere che cosa sia un coro e che il suo servizio è un vero ministero liturgico. Non basta quindi formare un gruppo che canti insieme durante la messa, ma occorre che la sua natura sia ben chiara in tutti i soggetti che lo compongono. Spesso tuttavia nella pratica tale consapevolezza non è un’acquisizione previa, ma il frutto di un cammino che si compie nel tempo attraverso una seria formazione in ambito non solo tecnico-musicale, ma anche liturgico e spirituale.
Ciò mi risultò subito chiaro, in virtù della formazione liturgico-musicale ricevuta nei vari corsi specialistici frequentati, quando nell’ottobre del 2001 ebbi la gioia e l’onore di essere chiamato a ricostituire e dirigere il coro liturgico della Basilica – Santuario del Carmine Maggiore in Napoli. La mia decisione arrivò circa un mese dopo; mi presi il tempo per riflettere e per organizzare adeguatamente il gravoso compito affidatomi di formare un nuovo coro liturgico che fosse all’altezza di animare decorosamente le solenni e nobili liturgie nella splendida barocca Basilica del Carmine Maggiore di Napoli.
L’azione di reclutamento delle voci avvenne attraverso volantini, locandine, approcci diretti con conoscenti ed amici, inviti dall’altare. Senza scoraggiarsi per i “no”, gioendo per i “si, sperando per i vedrò…si ritrovarono così diverse persone, alcune delle quali prive di conoscenze musicali o esperienze corali pregresse, che erano però motivate ad affrontare l’avventuroso ed affascinante cammino del cantare insieme. Fu in questo modo che tra prove di canto, lezioni di teoria, esercitazioni vocali e tecniche di respirazione, persone ritrovatesi insieme quasi per caso cominciarono ad essere gruppo, sotto lo sguardo e la guida attenta ed amorevole di P. Francesco M. Sorrentino, che, ancora oggi, oltre ad essere cantore solista è il Padre Spirituale del coro. Seguendo il corso naturale delle cose e degli eventi, in quello stare insieme per “fare musica”, nello sforzo comune di fondere le voci, si scopriva il senso della fraternità e il gusto di una convivenza che si arricchisce nella molteplicità. Esistenze diverse, condizioni varie, età differenti: studenti, casalinghe, operai, insegnanti, impiegati, disoccupati, laureati in cerca di occupazione, padri, madri, figlie, figli, sorelle, fratelli… Certo, nel corso degli anni, qualcuno è andato via, portato lontano dal lavoro, dall’amore, dallo studio, dai vari casi della vita. Altri, invece, sono arrivati con le loro storie e con le loro specificità, ma con la comune passione per la musica e l’identica voglia di riconoscersi e di ritrovarsi nel canto liturgico.
Il gruppo corale è, insomma, un microcosmo che riproduce in pieno, nelle dinamiche e nella composizione, la vita stessa rappresentata in un piccolo spaccato di società: eterogeneità che diventa osmosi nel canto e attraverso il canto che davvero « ha la virtù di unire i molti di avvicinare i distanti, di uniformare il molteplice »5. Quel canto che è « veicolo delle emozioni »6, ma anche « canale di catechesi e di fede »7: ricordiamo che il coro liturgico, attraverso la musica, cerca di « dar voce alla supplica, alla gioia e alla lode dei figli di Dio »8.
Ciò è tutt’ora visibile e percepibile dall’impegno, la dedizione e la passione profusa dalle coriste e i pochi coristi (il coro è ancora orfano di voci maschili; ma non demordiamo!) in questa esperienza corale che, pur essendo entusiasmante ed edificante, richiede non pochi sacrifici e rinunce: il tempo da dedicare alle prove settimanali e all’animazione delle celebrazioni domenicali e le altre particolari durante l’anno tra settembre e luglio, spesso richiede di rinunciare a qualche uscita con la famiglia, il proprio fidanzato, i propri cari o di accantonare per un po’ gli altri impegni ed interessi che ognuno di noi possiede. Ma le motivazioni che animano lo spirito di tutti coloro che fanno parte del coro evidentemente sono più forti delle rinunce da operare: la prima motivazione è, senza dubbio, la fede personale in Cristo Gesù: il corista, come del resto ogni cristiano che eserciti un ministero liturgico, è chiamato a compiere una scelta di adesione al Signore. Oltre alla dimensione individuale, tale scelta di fede ha anche una dimensione ecclesiale che si esprime in un impegno visibile a favore della comunità; un’altra motivazione decisiva è il desiderio di svolgere un servizio piuttosto che cercare una gratificazione personale. Cantare in un coro liturgico infatti non consiste in un’esibizione canora in chiesa. La spinta giusta proviene dalla coscienza di porsi al servizio di un’assemblea liturgica e dalla volontà di offrire la propria voce con gratuità e disinteresse secondo lo spirito del servo inutile del Vangelo (Lc 17,10); infine una motivazione ugualmente importante riguarda l’aspetto più propriamente musicale ed è la passione per il canto. Quando sorretto da questo trasporto, anche il canto liturgico, come ogni forma artistica, riesce a trasmettere il calore che lo anima e gli permette di superare il limite di un’esecuzione puramente tecnica. Quando poi, come nella liturgia, il canto si rende voce di Dio e della lode a Dio, anche la passione con cui viene proposto diventa segno della bellezza divina. Con questi presupposti e con queste motivazioni è doveroso continuare a crescere come gruppo e come coro liturgico, cercando anche di avvicinare sempre più persone al canto e alla musica in generale e si spera che attraverso le animazioni liturgico-musicali il coro possa far sperimentare, in particolar modo ai giovani, l’interesse e la curiosità per questo nobile ministero liturgico. L’ impegno è sempre quello di non lasciarsi sfuggire nessuna occasione (prove, esercitazioni, formazione liturgica e spirituale, inviti ad altri coristi) per continuare a contribuire con il canto ad una celebrazione bella, partecipata, degna del mistero celebrato.
La bellezza musicale è frutto di profonde conoscenze tecniche e musicali, di continua applicazione, di un animo sensibile e profondo, di una fede matura e intensa, di una coscienza ministeriale nei confronti della comunità cristiana. Non c’è bellezza dove manca la preparazione, con c’è bellezza dove c’è la presunzione di sapere tutto, non c’è bellezza quando si improvvisa tutto. « La comunità cristiana deve fare un esame di coscienza, perché ritorni sempre più nella liturgia la bellezza della musica e del canto. Occorre purificare il culto da sbavature di stile, da forme trasandate di espressione, da musiche e testi sciatti e poco consoni alla grandezza dell’atto che si celebra »9.
Tutti, allora, nonostante l’impegno, la passione, la totale dedizione profusi nel ministero liturgico  che svolgiamo, siamo chiamati a fare sempre e comunque un esame di coscienza serio e profondo per rinnovare continuamente la nostra “ars celebrandi”.

Giovanni Aprea

Pubblicato sul periodico “La Vergine Bruna” della Basilica del Carmine Maggiore – Napoli, anno 84, n° 1 Gennaio/Aprile 2013.
 

  1. Sacrosanctum Concilium, Cap. VI n° 112 []
  2. ivi []
  3. Ordinamento generale del Messale Romano n° 103 []
  4. Premessa al Repertorio nazionale di canti liturgici, 1979, n° 3 []
  5. Celebrare in Spirito e Verità n° 127 []
  6. ivi []
  7. ivi []
  8. ivi []
  9. Giovanni Paolo II, udienza del 26.02/2003 []